venerdì 14 ottobre 2005

LE ORIGINI (2)

Durante la scuola media, il mio obiettivo a lungo termine era medicina. Non esisteva nient'altro per me. Tanti miei coetanei sognavano di sfondare nel mondo dello spettacolo, della musica, dello sport, diventare personaggi famosi; la mia unica ambizione era diventare medico, semplicemente medico. Il sogno di una vita.


L'adolescenza fu un periodo molto sofferto ma, come spesso accade, mi ha regalato intense emozioni. Mi svegliai abbastanza tardi dal torpore infantile (a 15 anni) ma quel brusco cambiamento di vita fu come rinascere. Devo tutto questo soprattutto al mio amico Genio, compagno di banco al liceo; se non fosse stato per lui, probabilmente avrei continuato a dormire a lungo. In quel periodo entrai in conflitto con i miei genitori, come accade a tutti gli adolescenti, e siccome ho sempre pensato che mio padre desiderasse più di ogni altra cosa al mondo un erede che seguisse le sue orme, chiaramente dichiarai a gran voce che non avrei fatto medicina. In quel periodo mi piaceva molto il mondo dell'informatica, allora ero molto indirizzato verso quel campo. Trovavo affascinante l'idea di imparare a programmare, inoltre ero attratto anche dal campo della farmaceutica. Medicina era stata messa in secondo piano, ma nel maggio del 2000 successe un evento che mi sconvolse.


DAL MIO DIARIO PERSONALE, 17 MAGGIO 2000 ore 17:02: "Alle 19:25 di martedì 16 maggio 2000, ci fu un bruttissimo incidente: una bambina fu investita in pieno da una macchina che andava ad alta velocità. Sentii distintamente l'accennata frenata della macchina, il botto, assolutamente forte, le urla di disperazione di una donna, il "cosa ho fatto" di un uomo in preda alla disperazione. Subito pensai: ha beccato uno scooter, tanto il rumore era stato forte: povero ragazzo. Corsi, corsi, quasi d'istinto, per quei 50 metri che mi separavano dal luogo delle urla. Correvo leggero, non sentivo stanchezza, chi era che aveva fatto un incidente? Arrivai, capii, ebbi una scarica di adrenalina che mi fece tremare. Ce l'aveva in braccio, quell'uomo, in braccio. Io e i miei amici la facemmo stendere a terra da quell'uomo, lei non rispondeva, non respirava, il cuore non le batteva. Pensai: è morta. 30 secondi interminabili prima della rinascita. Guaisce, si lamenta, piange; un pianto più bello e più pietoso non l'avevo mai sentito. Le tenni il collo, la feci star ferma, la guardai povera bambina, si era rovinata la faccia, i denti rotti, l'orecchio destro distrutto. Madonna santa. Un orrore. Le urla strazianti della madre che inveiva contro il folle guidatore. Questo era in un primo momento incazzato, poi si liberava in un pianto di sfogo interiore, di rimorsi, dubbi, promesse e speranze. L'arrivo dell'ambulanza, il trasporto in ospedale, la rissa del guidatore con i passanti, l'arrivo dei gufi, lo sguardo allibito dei miei amici più colpiti. La mia analisi interiore, cos'è successo, ero cosciente, perchè ho avuto poca paura rispetto agli altri, ho fatto abbastanza per lei, per la madre, per l'investitore, per il mondo? E se fosse morta? Sarei morto anch'io."


Quel giorno mi sono sentito incapace, ignorante, ma presi una scelta non da poco. Non sarei stato mai più nella condizione di non sapere cosa fare in quella situazione. Non potevo sopportarlo. Da quel giorno scelsi definitivamente la mia strada.


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