venerdì 7 luglio 2006

PILLOLA DI VITA N. 7

Quel giorno ero reperibile in chirurgia. Il primo intervento previsto era una gastroenteroanastomosi su una vecchietta di 94 anni suonati; gli specializzandi mi avevano detto che non c'era molto con la testa e che era mezza demente. Così, una volta in induzione (saletta nella quale la paziente viene preparata per la sala operatoria) provai a chiederle come andava, sicuro che non mi avrebbe risposto o che avrebbe sfarfugliato qualcosa di incomprensibile come accade alla maggior parte dei dementi. E invece che sorpresa sentirmi rispondere: "Non male". Le sorrisi, e lei di risposta mi sorrise, le strinsi la mano e anche lei me la strinse. Arrivò l'anestesista e mi feci indietro per farlo lavorare. Cominciò a fare tutte le cose che doveva fare e la signora smise di sorridere, anzi sul suo viso ora aleggiava un'espressione turbata che fino a qualche secondo prima non aveva. Ci fu un momento, però, che i suoi occhi incrociarono i miei e mi sorrise nuovamente, per ritornare un attimo dopo all'espressione turbata e preoccupata quando l'anestesista le infilò un ago-cannula in vena.
Verso la fine dell'intervento si parlava dell'operazione successiva che doveva effettuare la chirurgia pediatrica: un inserimento di catetere in una bambina ucraina di 10 anni di 13 chili di peso con un linfoma gastrico. 13 chili li pesa mio fratello che ha quasi 4 anni. A fine intervento il prof mi chiese di andare a chiamare i parenti della signora appena operata, così mi diressi verso l'uscita del blocco operatorio e lì la vidi da lontano, mentre aspettava di essere portata in sala: era uno scheletro con un pigiamino da bambina. Poi, una volta sbrigati gli ultimi lavori, mi andai a cambiare nello spogliatoio e uscii. Potevo vederla nuovamente da lontano, era di nuovo lì davanti a me, con a fianco i suoi sconsolati genitori che sussurravano in una lingua a me ignota. Mi avvicinai sempre di più e potei vederle il viso, così magro che si poteva paragonare a quello di un ebreo in un campo di concentramento, così scavato dalla malattia che faceva quasi ribrezzo, che mi venne quasi voglia di voltarmi dall'altra parte. Quando finalmente le passai di fianco lei mi fissò per 2 soli secondi e mi partì un brivido di cui ancora adesso porto vivo il ricordo: aveva 2 occhioni verdi meravigliosi, così grandi che il resto che li contornava non c'entrava nulla con essi, così carichi di tristezza e sconsolazione che mi sconquassarono completamente da cima a fondo. In quei 2 secondi quella bambina mi rubò tutto ciò che di positivo avevo, lasciandomi attonito, con un senso di impotenza e fragilità che molte volte si mette da parte nella vita quotidiana per non soccombere ad essa. Rimasi amareggiato a lungo. A fine giornata mi convinsi che il linfoma non aveva potuto avere occasione di guardarla negli occhi prima di colpirla in quel modo.
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