giovedì 22 dicembre 2005

IL MIO UNICO AMORE

Ora vi racconterò una storia. C'era una volta un ragazzo che si chiamava Matteo che aveva 16 anni. Matteo, come tanti ragazzi della sua età, si dilettava a passare il tempo in una compagnia di amici - la "compa" - come la chiamava lui. Aveva stretto particolarmente amicizia con 2 ragazzi, Alberto e Alice: erano i suoi "migliori amici", come si usa dire quando si è giovanissimi. Il rapporto con loro era meraviglioso, poteva parlare di tutto, fare discorsi profondi, sfogarsi nei momenti di bisogno: i suoi due amici erano sempre lì, pronti ad ascoltarlo, lui ovviamente ricambiava quando i due avevano bisogno di un consiglio sulla loro vita. Una sera di ottobre tutta la compagnia si ritrovò in un noto ristorante/pub della zona; Matteo si sedette di fianco ad Alice che cominciava ad accusare i vapori alcoolici di tutto ciò che aveva bevuto quella sera. Non si sa come accadde, ma i due si baciarono. Per Matteo fu il più bel bacio mai provato in vita sua e anche al giorno d'oggi per lui rimane senz'altro il migliore. Era stata una cosa di una sera, nulla di più, ma Matteo si invaghì della sua amica. Una settimana dopo Alice si mise con Alberto. Matteo ci rimase male, malissimo. Si era innamorato e non solo non poteva provarci con la donna dei suoi sogni ma perse le sue due amicizie più profonde in un sol colpo, perchè, come è naturale, la coppia di fidanzatini si isolò pian piano per poter dare tempo al loro amore. Dopo due anni la storia tra loro finì ma i rapporti tra i tre ragazzi non tornarono saldi come prima. Dopo un altro anno Matteo ed Alice si ritrovarono per caso e l'amicizia di un tempo venne dissotterrata e rinforzata come non mai. Matteo però continuava a considerarla più che un'amica, sentimento che lei invece non ricambiava. E così, mentre Matteo accresceva ogni giorno di più il suo amore per Alice cercando di dissimularlo, la ragazza continuava a considerarlo un semplice amico. Lei imboccò una brutta strada fatta di cartine, pezzi e piste bianche e caramelle della felicità, ma Matteo imperterrito aveva occhi solo per lei e provava a farle capire che ciò che lei stava facendo l'avrebbe portata alla rovina. Un giorno di marzo il ragazzo andò a trovare il suo amore in un postaccio dove la polvere bianca regnava sovrana; seduto al tavolino con lei, le disse: "Ti amo" mentre Alice continuava a tirare su col naso. Matteo non aveva capito se lei aveva percepito quelle parole, perchè sembrava che non le avessero fatto nè caldo nè freddo. Passarono 6 mesi e Matteo con molta sofferenza dimenticò Alice. Chi non muore si rivede. Dopo 2 anni Alice riuscì a prendere una laterale della brutta strada e si incamminò per la retta via. Chiamò Matteo e per l'ennesima volta rispuntò fuori l'amicizia di un tempo. Matteo stavolta si ripromise di non lasciarsi più andare: non sarebbe ricascato nell'errore di una volta, non si sarebbe più innamorato.


Stasera in discoteca Alice piangeva: aveva appena visto il suo ex. Matteo l'ha abbracciata teneramente e c'è stato un momento interminabile in cui le labbra dei due si sono ritrovate a pochi millimetri di distanza. Sarebbe stato troppo facile sorprenderla in un momento di debolezza. Il ragazzo le ha asciugato le lacrime e l'ha abbracciata nuovamente, sentendo riaffiorare i sentimenti di un tempo ma scalciandoli via con decisione: era un amore di un tempo che fu  e tale doveva rimanere.


I nomi di Alberto e Alice non corrispondono al vero, ma Matteo sono io.


Sono sicuro che un giorno sarà lei a venire da me, ma quel giorno io non mi farò trovare. Ho amato una sola persona nella mia vita, una donna che non è mai stata mia.

FERIE

Informo i gentili lettori/lettrici che sarò in ferie dal 23 dicembre 2005 al 2 gennaio 2006 destinazione piccolo paesino di montagna della Puglia. Mi rifiuto di passare il Natale a Modena, città nella quale la festa religiosa ha cessato di esistere per lasciare il posto alla festa meramente consumistica grazie alla quale il luogo più frequentato di dicembre diventa l'ipercoop. Voglio sentire il Natale scorrere dentro di me, voglio scoprire ancora una volta la suggestione di camminare per il corso di quel piccolo paesino pugliese ascoltando canzoni natalizie le cui note scorrono per la strada, voglio vedere il presepe vivente passare davanti a casa mia con il suono della zampogna che arriva sino alle mie orecchie. Non voglio stare in una città in cui anche il giorno di Natale sento bestemmiare e in cui il 25 dicembre viene considerato come un qualsiasi giorno festivo. No, mi dispiace, non mi avrete.

mercoledì 21 dicembre 2005

UNA SERATA AL COCCO

Questa è una lettera che ho scritto a 19 anni al 1° anno di università. L'unico che ha letto questo pensiero è stato l'hard disc del mio pc. Penso sia giunto il momento di farlo leggere anche ad altri. Voglio precisare che non frequento più posti del genere. Questa è la lettera di un'idealista sognatore che non si era ancora accorto di come andava il mondo; oggi non scriverei più queste cose.


A Pasqua io e i miei amici avevamo un desiderio da attuare: andare a ballare a Riccione. Per noi che siamo di Modena non è nemmeno tanto lontano, si tratta di 150 km più o meno. Classico pranzo con i parenti e via che si parte destinazione Riccione. La notte arriva presto e alla mezza siamo dentro a una delle discoteche che viene definita una delle più belle d’Italia, un mito per generazioni di giovani: il Cocoricò. Si comincia a ballare al Titilla, il privée del “Cocco”; stanotte la techno sarà suonata qui e non in Piramide (la sala grande) come al solito, perché in occasione del Juice of Juice, uno dei più importanti eventi house dell’anno, il popolo della house ha bisogno di più spazio. Un giro veloce per prendere confidenza con la discoteca e verso l’una si comincia a vedere qualcosa di anomalo, uno strano vociare collettivo, un macabro rituale che avviene spesso nell’ambiente delle discoteche: la vendita di quelle maledette pasticche di MDMA, o comunemente ecstasy. Vedo un tipo normalissimo, cappello da pescatore in testa, camicia col taschino, avvicinarsi a un ragazzo scambiando due parole di intesa sotto lo sguardo inflessibile di un buttafuori che sembra ignorare la conversazione. Vedo lo spacciatore che prende fuori una “cala” dal taschino e la dà al ragazzo, da cui ho avvertito solo le parole: “Ma è buona? Adesso non ho i soldi, te la pago dopo”. Chissà se erano amici, se non si conoscevano, se lo spacciatore era amico di un suo amico… E allora penso che è l’una, la notte deve ancora cominciare, sono come dei grandi preparativi per un evento che durerà fino alle 6 del mattino. Schifato da tanta disinvoltura dello spacciatore, dico a un mio amico: “Ma hai visto che roba? Quasi quasi glielo vado a dire al buttafuori, forse non se ne è accorto” e il mio amico: ”Guarda, lascia stare, non ti andare a mettere nei casini, fregatene”. Decido di seguire il consiglio del mio amico. Passa un’altra ora e mezza e ora la situazione è cambiata: si cominciano a vedere gli effetti dell’ecstasy. Mentre ballo, comincio a guardare un attimo la gente attorno a me. Al Titilla c’è gente con lo sguardo fisso nel vuoto, assente, che “smascella”, digrigna i denti, balla in modo molto disordinato rispetto ad altri. C’è l’ennesimo spacciatore che ci chiede se vogliamo delle paste e noi a dirgli no, non le vogliamo le tue schifosissime paste, idiota. Vedo un ragazzino, avrà sì e no 15 anni, allungare una pasticca a un suo coetaneo, quasi entusiasta della cosa che fa, e dopo 5 secondi mettersi la pasticca in bocca insieme al suo amico. È carico, molto carico, ma forse non sa quello che sta facendo. Mi giro da un’altra parte e vedo una ragazza, avrà 25 anni, con lo sguardo perso, sembra una zombie e non sto scherzando, con un accenno di sorriso sulle labbra, forse di contentezza, che in realtà appare come una smorfia, e le palpebre semichiuse che fanno quasi impressione. Intravedo nel corridoio ragazzi che sono seduti per terra, mani nei capelli, scuotono il capo, hanno la faccia sconvolta, uno che addirittura sembra che abbia allucinazioni. E allora mi parte un “viaggio mentale”, comincio a pensare alla mia vita e a quella delle persone che mi circondano. Penso che ho 19 anni, sto facendo medicina all’università per aiutare in un prossimo futuro la gente che sta male, e invece la gente rovina il proprio cervello e a volte anche la propria vita davanti ai miei occhi. È uno spettacolo ignobile. Forse non tutti sanno che il nostro sistema nervoso è come un immenso circuito elettrico; prendere dell’ecstasy è come tagliare tanti fili elettrici (gli assoni dei neuroni, responsabili della trasmissione dell’impulso nervoso), ma non si sa quali colpirà e se quei fili elettrici sono poco o molto importanti per un buon funzionamento del nostro “impianto elettrico” sistema nervoso. E allora mi chiedo se vale la pena rischiare di buttare via la propria vita per una nottata in discoteca. Allora mi chiedo cosa stanno facendo le forze dell’ordine, perché lo sanno benissimo che di droga ne circola ancora a quintali nonostante tutti i sequestri che hanno compiuto in questo periodo. Allora mi chiedo se questi giovani hanno un progetto di vita o hanno zero ambizioni e pensano tutto il giorno a come passare il sabato sera. Mi chiedo se la campagna di informazione da parte dello Stato sia sufficiente e mi chiedo se scrivere una lettera del genere possa avere un senso, perché so che tanto a quei giovani non arriverà mai il mio messaggio. Mi chiedo se sto facendo abbastanza per fare uscire una mia amica dal giro dell’ecstasy portandogli a casa documentazioni scientifiche che testimoniano gli effetti clinici dell’MDMA sul corpo umano. Penso a tutte queste cose e non ho più voglia di ballare, perchè so che alcuni miei coetanei stanno buttando via la propria vita, ma non pensate che io sia uno di quei ragazzi perbene secchione a scuola che non fuma, non beve mai, non si è mai fatto una canna e sta a casa il sabato sera. Il contrario. Ho solo più testa di altri, o forse ho solo la fortuna di essermi informato più che bene sulle droghe che fanno veramente male al nostro organismo. La mia felicità di stasera è andata via, svanita nel nulla. Al suo posto c’è un grido disperato che chiede: ”Perché?”

 



 


 


Ritorno dal mio viaggio mentale, è passato un quarto d’ora, e non c’è più solo una zombie, ma sono diventati due, dieci, cinquanta. Si fanno le tre e mezza, siamo costretti ad accompagnare a casa a Cattolica una nostra amica che deve essere a casa alle quattro. Prima di andare via faccio in tempo a girarmi indietro e vedere una ragazza molto bella, alla sua sinistra un suo amico e alla sua destra una sua amica. Li guardo bene e vedo che fanno parte del popolo degli zombie; fisso i due occhioni verdi colmi di tristezza della bella ragazza che mi dicono: “Non c’è speranza”. Due ore e siamo a Modena, andiamo in pasticceria a fare colazione e prendiamo cappuccino e cornetto: questa sì che è una pasta che non farà mai male.

martedì 20 dicembre 2005

6 - BIOLOGIA E GENETICA GENERALE

Altro esame farsa, altro regalo! Voi ora vi chiederete che cos'è un esame farsa: è semplicemente una materia inutile, messa nell'ordinamento didattico per fare numero, con un esame ridicolo alla fine di tutto. Biologia e genetica generale tratta di argomenti generici che saranno poi ripresi negli anni successivi in materie come biologia cellulare/molecolare in cui si studierà tutto più approfonditamente.


L'esame consisteva nel prepararsi un argomento a scelta, poi una domanda del prof (comunque facile) e portare una ricerca su un parassita a nostro piacimento. Il prof era un pezzo di pane e regalava voti altissimi a tutti (o quasi). Io presi 28 ma questa volta non voglio parlare di me ma dell'esame di due miei amici.


L'esame di Nick fu una comica assoluta. Mi è stato raccontato perchè sfortunatamente non ero presente a quell'appello. Nick preparò malissimo l'argomento a scelta e fece quasi scena muta alla domanda del prof. Le frasi che seguono sono leggenda:


Prof: "Io te bboccio"


Nick: "No prof non me bbocci"


Prof: "Va bene dai 18, oggi sono buono"


Nick: "No prof allora rifiuto"


Prof: "Come rifiuta? Ma insomma il suo argomento non lo sapeva, le ho fatto un'altra domanda e mi ha fatto scena muta, cosa dovrei darle?"


Nick: "Prof posso dirle il parassita?"


Prof: "EEE dimmi il parassita!!!!"


[Nick espone la ricerca sul parassita (che tra l'altro era la mia che era stata riciclata) sbagliando pure su quella]


Prof: "Guardi non le posso dare più di 19"


Nick: "No prof, rifiuto"


Prof: "20!"


Nick: "No prof, torno un'altra volta"


Prof: "21!"


Nick: "No no..."


Prof: "Senta le do 22 ma è la mia ultima offerta"


Nick: "Facciamo 23 e accetto"


Prof: "Vabbè le do 23, accetta allora?"


Nick: "Scriva scriva..."


Mi è stato raccontato che un amico di Nick, che era venuto a sentire l'esame, durante la contrattazione del voto è dovuto uscire dall'aula perchè non ce la faceva più dalle risate.


Il migliore però è stato Hasan, un ragazzo arabo-israeliano, con la complicità del suo amico Attaf, sempre arabo-israeliano. Hasan non sapeva un cavolo di biologia e bisognerebbe conoscerlo per capire che cavolo di tipo è. La leggenda dice che Hasan si presentò all'esame di biologia a settembre (al cosiddetto "appello dei cazzoni") insieme al suo amico Attaf. Attaf fu interrogato per primo e fece una figura meschina, strappando un 18 pregando il prof di promuoverlo. Hasan fece scena muta completa, e a quel punto il prof disse: "Io ti devo bocciare, mi dispiace" Il resto è storia:


Hasan: "Nono prof, non mi bocciare dai, ho studiato però in arabo, ti assicuro, ho studiato in arabo".


Prof: "Si va bene ma come faccio a verificarlo?"


Hasan chiama Attaf, poi comincia a parlargli in arabo. Passati 10 secondi, Attaf dice al prof: "Mio amico dice che se Lei vuole, io faccio la traduzione da arabo a italiano". Il prof rimane a bocca aperta, poi esplode: "ANDATE VIA, ANDATE VIA, VI DO 18 A TUTTI E DUE MA ANDATE VIA DI QUA!!!"


Traduzione arabo-italiano.. che idea!!!

5 - INGLESE II

L'esame più inutile di tutto il corso di laurea? E' una dura lotta con inglese I, III e IV... Esame farsa su cui non c'è niente da dire.

sabato 17 dicembre 2005

AI CONFINI DEL PARANORMALE

Questo post riporterà i fatti accaduti giovedì sera durante la mia uscita con Mari. Prego i lettori di abbandonare qualsiasi razionalità residua dalla loro coscienza e di credere a ciò che è mi successo due sere fa. Per alcune ore ho creduto di essere impazzito e di soffrire di turbe psichiatriche.


RACCOMANDAZIONI PRIMA DI LEGGERE: questo post riporterà fatti accaduti ai limiti del paranormale. E' assolutamente sconsigliata la lettura a cardiopatici, portatori di pacemaker, epilettici, individui che sono stati a contatto con alieni negli ultimi 20 anni, agli idealisti e ai puri di spirito. L'autore declina ogni responsabilità di danno mentale/nervoso dovuto alla lettura di questo post.


Giovedì 15 dicembre 2005, ore 19:00. Chiamai Mari per metterci d'accordo per uscire, l'appuntamento sarebbe stato alle 22:30 davanti a casa sua. Prima di vederla, avevo la cena della mia ex-compagnia in pizzeria. Ero teso ma anche incazzato: nessuna donna poteva permettersi il lusso di farmi star male. La mia corazza di acciaio era stata scalfita nel punto in cui risiede l'orgoglio, già danneggiato in precedenza da ragazze poco sensibili che ho incontrato nel corso della vita. Ho costruito appositamente una difesa che non mi permetta di affezionarmi con facilità a una donna, ma più passa il tempo più capisco che è stato un lavoro inutile: a volte i castelli in aria sono costruzioni inevitabili quando incontri persone che ti fanno sognare. Mari è riuscita sia a rendere vana la corazza sia a farmi fantasticare, in effetti senza impegnarsi più di tanto, solo usando il suo sguardo, la sua razionalità, la sua intelligenza. Non che fossi innamorato, intendiamoci, ma una leggera infatuazione era presente. Quel suo non farsi mai sentire mi aveva mandato in bestia e aveva confermato in pieno quello che il buon vecchio Ferradini aveva ipotizzato anni or sono col suo famoso Teorema. Quella uscita con lei sarebbe stata la prova del 9, se fossi riuscito a baciarla si sarebbe innamorata delle mie labbra, delle mie mani e poi di me per un meccanismo di contiguità. Conosco le mie doti e conosco i miei punti deboli; ho sempre fatto fatica nelle fasi preliminari che precedono il bacio, ma una volta arrivati a quel punto posso controllare la situazione come voglio: nessuna resiste alle mie carezze e tutte si affezionano senza eccezioni. Non a caso la parte del corpo che più mi piace in me sono le mani, autentici gioielli attaccati a un corpo che forse non è alla loro altezza.


Alle 22:30 suono al suo campanello, lei esce di casa, la carico in macchina poi partiamo direzione pubtranquillopercoppiette. Alla cena della mia ex-compagnia ero anche riuscito a placare il mio nervosismo anche se la tensione era rimasta piuttosto alta. Arriviamo al locale, io limoncino lei birra piccola, parliamo del più e del meno per un'oretta, poi le faccio la domanda fatidica: "Tu cosa cerchi, una storia seria o un'avventura?". E' una formula classica che serve per tastare il terreno, non impegna e permette quasi sempre un'ottima gestione della situazione per qualsiasi risposta dia la ragazza.


"No guarda, non sono una tipa da avventure, e spero che tu non stia cercando quella"


"Lo avevo immaginato.. Ma dai ti sembra che per come mi sto comportando stia cercando un'avventura? E quindi cerchi una storia seria?"


La risposta era scontata, stavo cercando solo di prendere tempo per pensare bene a come dovevo indirizzare il discorso. Quello che sentii mi fece rimanere allibito.


"Ma veramente non cerco neanche quella"


La fissai meravigliato. Mi aveva completamente spiazzato. Mai e poi mai mi sarei aspettato una simile risposta.


"Come scusa? No aspetta un attimo che forse ho capito male"


"Non cerco nessuna delle due"


"Ma scusa, allora per quale motivo stai uscendo con me?"


Questa domanda mi uscì di botto, figlia della spontaneità. Lei cambiò espressione, quasi infastidita dalla mia richiesta di spiegazione. E qui cominciò il paranormale.


"Perchè, non si può uscire per conoscersi meglio?"


"Ma a che fine?"


"Nessun fine"


Da quel momento rimasi completamente inebetito. Fissai il vuoto per 10 secondi cercando risposte nel mio cervello ormai esausto da tante ore di studio che avevo fatto durante la giornata. Provai a formulare qualche ipotesi sensata per spiegare ciò che Mari mi aveva appena detto, provai anche a trovare nei cassetti della memoria qualche vecchio file di archivio che si potesse collegare a una situazione simile ma la ricerca fu vana: non cavai fuori dal buco nemmeno un barlume di spiegazione logica a quello che lei mi aveva appena finito di dire. C'eravamo conosciuti a una festa, le avevo chiesto il numero, l'avevo chiamata e invitata fuori e lei aveva accettato e siamo usciti. Nessun amico, nessuna attività, nessun luogo frequentato in comune. Lei dopo una settimana mi ha invitato a casa sua a prendere un caffè e mi aveva fatto conoscere il fratello e la sua coinquilina. Arrivati al terzo appuntamento, volevo provare a baciarla a fine serata perchè ormai ritenevo che fosse giunto il momento giusto, ma lei no, sconvolge tutto e mi dice una cosa del genere. Per conoscersi meglio, ma non ha voglia di impegnarsi perchè non ancora pronta dopo una scottante esperienza precedente, e se la prende a male perchè io non comprendo che se una ragazza invita un ragazzo semisconosciuto a casa sua a prendere un caffè non è segno di interesse nei suoi confronti ma solo un modo per conoscersi meglio. Ma a che pro porca miseria? Sfarfuglio qualcosa sulla differenza di vedute degli uomini e delle donne, poi rifisso il vuoto per altri 15 secondi e mi scappa detto: "Sai che stasera avrei voluto baciarti?" E lei: "Beh, ti sarebbe arrivato uno schiaffo. Non è la prima volta che capita". Qualche mese prima avevo perso le mie chances con una tipa proprio perchè non ero riuscito a baciarla durante le 3 volte che siamo usciti insieme. La confusione nella mia testa stava assumendo contorni a dir poco preoccupanti. Sono rimasto un'ora a provare a capirla e a chiederle spiegazioni, avrei voluto sentire che il problema ero io così mi sarei potuto mettere il cuore in pace, invece no, il problema era suo e l'ha ribadito più volte. Preso dallo sconforto le ho chiesto: "Scusa ma ora come mi devo comportare?" E lei: "Io non vorrei che tu stia male, anche se continuiamo a vederci potrebbe non succedere nulla perchè potrei trovare un altro e la stessa cosa potrebbe capitare a a te". Ero completamente imbambolato; i miei sguardi nel vuoto aumentavano di durata e di frequenza: non sapevo più cosa dire. Mari mi aveva lasciato senza parole e senza possibilità di controbattuta, aveva vinto quella battaglia verbale e non c'era nulla che potessi fare per capovolgere quell'esito. Parlammo ancora del più e del meno poi la riaccompagnai a casa. Appena scese dalla macchina dopo i due bacini di rito, partii in automatico e cominciai a parlare da solo mentre guidavo. Sfarfugliavo qualche frase insensata e sceglievo le direzioni assolutamente a caso, con lo sguardo ebete di chi non sa darsi una risposta a ciò che ha appena sentito. Girai per un'ora senza una meta, chiedendomi se l'anormale fosse lei e se tutto il mondo fosse impazzito di botto o se lo fossi stato io da una vita. Preso da questo dubbio atroce, mi indirizzai a casa dove nel pieno della notte entrai in camera di mia sorella per sapere la verità sul mio stato mentale. Sentirmi dire che l'anormale era lei mi fece tirare un sospiro di sollievo: ripresi un attimo di lucidità e riuscii a trovare la forza di andare a letto. Mi misi sotto le coperte con la rabbia di chi aveva costruito castelli in aria e se li era visti distruggere non da un due di picche tirato con prepotenza dall'avversario, ma da una forza oscura e misteriosa che quella sera si era manifestata così inaspettatamente in quel pub. Qualcuno la chiama forza del paranormale. Io la chiamo incomprensione tra uomini e donne.


mercoledì 14 dicembre 2005

DOMANI

Domani sera esco con Mari. Io la vedo grigia. Per la legge di Murphy qualcosa può andare storto, quindi la serata andrà storta di sicuro. Con la fortuna che ho con le donne, questa la perdo al 100%. Così almeno potrò autocommiserarmi per un buon mesetto e mi potrò sentire come se avessi lo scroto attaccato al muro con dei chiodi.

lunedì 12 dicembre 2005

5 GIORNI

Sono passati 5 giorni da quando l'ho sentita l'ultima volta. 5 giorni. 120 ore. 7200 minuti. 432000 secondi. Un'eternità. 5 giorni che durante una vacanza passano e manco te ne accorgi, durante la routine quotidiana sono lunghi ma ti ci fai l'abitudine, ma quando stai male sono di una lunghezza che tende all'infinito. Potrei anche provare a richiamarla, ma a che pro? Se le interesso davvero lo farebbe lei. Devo seguire il teorema di Ferradini perchè non c'è legge più vera di quella. NON DEVO RICHIAMARLA NON DEVO RICHIAMARLA NON DEVO RICHIAMARLA NON DEVO RICHIAMARLA NON DEVO RICHIAMARLA NON DEVO RICHIAMARLA... Non ce la faccio.. Ho voglia di sentire la sua voce, di scherzare con lei, di invitarla fuori, di baciarla. Il nervoso aumenta di ora in ora, tra poco comincerà la gastrite e di nuovo il mio pensiero volerà a lei, a una semisconosciuta con cui sono uscito due volte. Strana la vita, ma ancora più strane sono le donne che non ho mai capito e che mai capirò. E così questa è la storia di un dolce uomo, dolce ma non mieloso, affettuoso ma non appiccicoso, premuroso ma non coglione, che diventerà stronzo suo malgrado. L'odio contro le donne è destinato ad aumentare contro la mia volontà. Poi loro si lamentano se gli uomini le trattano male. Ma rendetevi conto di come voi trattate noi, al posto di piangere su voi stesse quando un uomo vi fa star male: vi ripaga solamente con il vostro stesso pane.


Fine dello sfogo.

venerdì 9 dicembre 2005

FINE DI UNA DIPENDENZA

Stanotte ho preso la decisione di mollare la mia partita a Ogame. Chi non sa cos'è Ogame è meglio che non lo sappia mai perchè potrebbe pentirsene. E' la più brutta dipendenza che abbia mai accusato, più forte anche della dipendenza da fumo di sigaretta. Cinque minuti prima di decidere di schiantare la mia flotta verso un pianeta di un amico, volevo mettere la sveglia di notte per fare partire dei nuovi attacchi della mia flotta. Un mese fa giudicavo pazze le persone che facevano questo, erano i giocatori delle prime posizioni, e mi ero ripromesso di non diventare mai come loro. Ero 468° su circa 9000 persone in uni12, avevo 7 pianeti, 55 bs, 10 incrociatori, 22 caccia pesanti, 10 caccini, 17 cargo grandi, 30 ricicle, 12 sonde spia.


In Ogame ho conosciuto gente di tutti i tipi, ma una persona di cui non mi scorderò mai è Agostino. Ago è la persona con cui chattavo su msn messenger fino a notte fonda parlando sì di ogame ma anche di vita, facendo a volte discorsi molto profondi. Spero un giorno di incontrarlo anche nel mondo reale e non solo in quel cavolo di mondo virtuale che era Ogame.


Mi hai fatto divertire ma anche penare per un mese e mezzo della mia esistenza. Addio Ogame.

SCAZZO

Io odio le ragazze. Non le capisco, sono incomprensibili. Una ragazza esce con te, passi una serata bellissima con lei, poi la rivedi una settimana più tardi perchè lei ti invita a prendere un caffè a casa sua. Passi un'altra mezz'ora piacevolissima, la saluti e lei ti dice che usciremo la prossima settimana. La senti per sms e lei è contenta che tu ti sia fatto vivo, poi le mandi un altro sms il giorno dopo e non ti risponde. La chiami il giorno successivo e lei non risponde ancora. Non si fa più sentire. Ma che cazzo avete voi donne, cambiate idea in base alla luna? Sono incazzato nero.

giovedì 8 dicembre 2005

NASCITA DI UNA PASSIONE

La chirurgia: è lei la protagonista incontrastata della medicina. Tutti la ammirano e tutti la temono. Sentirne pronunciare la parola manda il pensiero a scene dell'immaginario collettivo in cui regna austerità e mistero.


Quando cominciai medicina non sapevo che specializzazione prendere ma sapevo benissimo quali non prendere. Ho sempre pensato di non avere una buona manualità e così tutte le branche chirurgiche erano state scartate senza, in effetti, averle mai viste. Inizialmente mi sarebbe piaciuto fare l'anestesista (idea che mi portai dietro fino a un anno fa) per il mio interesse verso il campo farmaceutico e il campo dell'emergenza-urgenza.           Un giorno successe qualcosa che mi aprì gli occhi.


L'anno scorso ho frequentato il Pronto Soccorso dell'Ospedale Civile come allievo-studente. Nel PS della mia città c'è una netta distinzione tra casi medici e casi chirurgici, che seguono 2 strade diverse una volta smistati dall'accettazione che provvede a fare triage. Come tutor mi era stata assegnata una ragazza neolaureata che era di una bravura straordinaria per la sua età e per la sua poca esperienza: Erica era la dottoressa del PS medico. In quei giorni cominciai a imparare sempre più cose e a prendere dimestichezza con la semeiotica medica.


Ci fu un pomeriggio che sentii urlare un bambino dall'ambulatorio chirurgico; visto che era un momento di relativa calma, bussai alla porta e chiesi di poter entrare; il chirurgo di guardia con un gesto della mano mi invitò dentro. La scena che mi si presentò davanti non era delle più tranquille: c'era un bimbo di 5 anni con una ferita al cuoio capelluto di circa 3 cm che aveva la testa completamente insanguinata. Era la prima volta in vita mia che vedevo così tanto sangue: una parte di me era impressionata e mi ripeteva mille volte: "Vattene da qui più in fretta che puoi", ma nel mio io più profondo c'era un'altra parte che si svegliò. Quella parte di me la chiamo Io chirurgico. Tutto quel sangue, quelle urla, quella cruenza nel passare un ago in testa a un bambino.. Ero affascinato, fu un'emozione indescrivibile guardare quei movimenti così rapidi delle mani che fecero arrestare l'emorragia in 5 minuti. Mi venne in mente un episodio di qualche anno prima, quando giocando a calcio mi feci un taglio profondo sul ginocchio destro e dovetti andare in PS a mettermi i punti. Mentre il medico si accingeva a farmi l'anestesia, ricordo che l'infermiera mi consigliò di non guardare; le risposi che non avevo paura e che avrei guardato perchè ero curioso. Non so perchè ma l'infermiera fece una faccia strana, poi continuò nel sul lavoro. E quando il chirurgo con decisione affondava quell'ago curvo nella mia carne, ero inebetito da cotanta lestezza e da quei movimenti magici per fare i nodi che compiva con l'ausilio di uno strumento che solo anni più tardi scoprii chiamarsi portaaghi.


Dopo quel pomeriggio di PS il mio Io chirurgico tornò a dormire, per tornarsi a svegliare circa 2 settimane dopo, quando di guardia in PS chirurgico c'era una dottoressa francese di nome Mecherie. La notai per caso mentre andavo a fumarmi una paglia nel cortile dell'ospedale: era alta, mora, bellissima. Dimostrava sì e no 30 anni e mi venne un colpo quando invece seppi che di anni ne aveva dieci in più. Fumata la mia sigaretta, rientrai in PS e mi fermai davanti all'ambulatorio chirurgico, nel quale la bella dottoressa stava per dimettere un paziente. Lei mi notò quasi subito e mi invitò ad entrare con modo gentile. Uscito il paziente, cominciò un dialogo durato 5 minuti che non scorderò mai più.


"Ciao, tu chi sei?"


"Sono uno studente di medicina del 3°anno, mi chiamo Matteo"


"Io sono Mecherie, piacere. Beh Matteo, cosa vuoi fare da grande?"


"Mah, sinceramente sono ancora un pò indeciso, ma sarei orientato verso anestesia e rianimazione"


"Sarebbe un'ottima scelta. Trovi lavoro subito e guadagni un sacco di soldi"


"Però non sono convinto, devo capire se mi piace"


"Per quello c'è tempo, non preoccuparti"


"Lei per esempio, perchè..."


Lei mi interruppe: "No, non Lei, dammi del tu"


"Ah, sì, scusami... Per esempio, tu perchè hai deciso di fare chirurgia?"


"Mi piaceva. Sono sempre stata un pò sadica e mi piace operare. Tutti i chirurghi sono un pò sadici, non sei d'accordo? Per esempio, una cosa che può sembrarti strana è che a me piace sentire l'odore di carne bruciata dal bisturi elettrico. L'hai mai sentito quell'odore? A me fa impazzire. E così, tutte le volte che entro in sala operatoria, do soddisfazione a quel poco di sadismo che c'è in me".


Ero sconcertato. Ma che cazzo aveva detto? Erano le parole di una pazza, non c'era ombra di dubbio. Feci finta di nulla, continuai la conversazione, così la salutai e me ne andai.


20 giorni dopo mi ritrovai in macchina in viaggio per la Puglia. La mia famiglia, come ogni anno, si spostava al gran completo per passare le vacanze di Natale in compagnia dei parenti di mio padre. Mentre osservavo il cielo con strane nuvole colorate di un'inverosimile tinta, il mio lettore cd mi aiutava a ricordare musica dance anni '90. Fu in quei momenti che mi tornarono in mente le parole della dottoressa. Un dubbio crepò la corazza di diffidenza verso la chirurgia: e se avesse avuto ragione? E cominciai a fantasticare su una mia possibile carriera da chirurgo, mentre le nuvole scorrevano veloci davanti al mio sguardo e mentre gli auricolari continuavano a gracchiare dance di altri tempi. Così misi a fuoco la situazione, mi accorsi che in fondo il tirocinio di semeiotica chirurgica che avevo fatto qualche mese prima era stata una delle esperienze più belle che avessi mai fatto e che desideravo fortemente che quel prof. che me l'aveva spiegata mi insegnasse altre mille, diecimila, centomila cose sulla chirurgia. Il mio Io chirurgico si era finalmente svegliato da un lungo torpore nel quale non sarebbe mai più ricaduto.


Tre mesi dopo, quando entrai per la prima volta in sala operatoria, compresi a fondo le parole della dottoressa. Mentre assistevo alla colecistectomia laparotomica e il chirurgo affondava il bisturi elettrico nel sottocute sprigionando un fumo grigiastro, avevo voglia di correre dalla dottoressa a confidarle che quell'odore faceva impazzire anche me.

sabato 3 dicembre 2005

4 - FISICA E INFORMATICA

Fisica scritto, informatica pratico. Il prof. di fisica era un tipo di cui si farebbe fatica a trovarne l'esistenza anche nel più audace cartone animato che voi possiate immaginare. Già il nome, tutto un programma: Tolmin*o (metto l'asterisco perchè se poi dovesse trovare il suo nome con Google è capace di denunciarmi). Alto circa un metro e 70 e peso incalcolabile, Tolmin*o teneva delle lezioni di fisica così assurde e così spiegate male che gli studenti si stancarono presto di andarci. Purtroppo a medicina la frequenza è obbligatoria, così Tolmin*o pensò bene di controllare le presenze facendo passare il classico foglio delle firme durante la lezione. Effettivamente con questo metodo l'aula si ripopolò nel giro di 2 lezioni, ma aumentò esponenzialmente anche il nostro casino. E' rimasto negli annali la volta che si incazzò così tanto della nostra confusione che pronunciò questa frase: " Bene, se non volete ascoltarmi, io non parlo più". Smise di parlare per 30 secondi, la confusione intanto pian piano scemava; Tolmin*o quindi prese un pennarello e cominciò a scrivere su alcuni lucidi vuoti appoggiati sulla lavagna luminosa e ricominciò a fare lezione così, disegnando formule incomprensibili e scrivendo alcune parole per spiegare ciò che stava facendo. Andò avanti così per mezz'ora, davanti a un'aula incredula e divertita.


L'esame di fisica lo studiai il giorno prima per mezz'ora facendo fotocopie dei bigliettini che qualcun altro aveva preparato per l'esame. Io mi limitai a copiare al pc un paragrafo del libro visto che, oltre alle domande aperte, ci sarebbe stata anche una domanda con argomento a scelta; stampai tutto in carattere word 2,5 e mi preparai 4 penne trasparenti in cui infilai dentro i miei bigliettazzi. L'indomani all'esame tutti avevano milioni e milioni di bigliettini da tirare fuori al momento opportuno, nascosti nei più remoti angoli del corpo umano. Il prof ci fece fare prima la domanda a scelta, lasciandoci completamente soli per un'ora. Quando tornò, ha osato dire che se ci avesse beccato con un bigliettino, ci avrebbe annullato il compito e ci avrebbe denunciati per falso in atto pubblico alle autorità giudiziarie. Non potevamo credere alle sue parole. Proiettò un lucido con le domande d'esame. Un dramma, non sapevo neanche in che bigliettino fossero quelle cose di cui chiedeva una risposta. Sono rimasto mezz'ora a provare a copiare a destra e a sinistra ma niente, non ci riuscivo. Intanto tutti i miei colleghi avevano il loro bel bigliettino sulle gambe e copiavano a bestia tutto quello che poteva sembrargli avere senso. A un certo punto inaspettatamente Tolmin*o si alza dalla sedia e si dirige verso le scale dell'aula ad anfiteatro a passo veloce. Quel momento è rimasto nella storia del mio corso: per tutta l'aula si è sentito uno spallottolìo e uno scartoccìo di bigliettini che avrebbe sentito anche un sordo.


Presi 20 in fisica e 28 in informatica.


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