domenica 27 novembre 2005

STORIA A DISTANZA: UN ALTRO PUNTO DI VISTA

In riferimento al post "Storia a distanza" di venerdì 18/11/2005, mi sembra opportuno riportare anche l'altro punto di vista, cioè della ragazza che aveva vissuto con me quell'esperienza di 2 anni fa, che ha detto la sua su quella notte di cui ho raccontato.


Ho letto il tuo blog.
E'una storia surreale, mitizzata.
Sai perchè ho sempre preferito ignorarti?
Perchè il ricordo che m'è rimasto di te è diametralmente opposto a quello che a te è rimasto di me.
Lo dico senza rancore di sorta, intendiamoci.
E'incredibile come una relazione tra due persone possa essere vissuta e ricordata in maniere completamente differenti.
Come se le storie fossero state due, una per ognuno.
Due punti di vista, due storie.
E allora, dopo che ci si lascia ci si perde, perchè in comune non si ha neanche quel periodo in cui si è stati insieme.
Ecco perchè preferisco non risponderti.
Perchè la mia storia è stata molto differente dalla tua
e se leggo quel blog,
io non so che favola stai narrando.


Come se quella notte non fosse mai esistita per lei. Giuro che è andata davvero come avevo descritto. Dire che ci sono rimasto male è poco. Ovviamente le ho risposto:


Sono senza parole. Non mi sarei mai aspettato una risposta del genere. Il
fatto che tu abbia distrutto tutti i bei ricordi di noi mi lascia con
l'amaro in bocca. I bei ricordi sono belli e basta; era un bello oggettivo e
tale doveva rimanere. Sei riuscita nel tuo intento di trasformare nella tua
testa ogni ricordo piacevole di me e te in episodi spiacevoli. Mi
congratulo. Visto che non sai che favola sto narrando, tu affoga pure nella
tristezza di tutto il male che c'era tra di noi, io invece ricorderò quanto
ci siamo voluti bene e continuerò a trovare una Chiara in una
qualsiasi ragazza con i capelli a caschetto e un pò bassina che incontrerò
per strada, come ho fatto dal giorno che ci siamo lasciati fino ad oggi, per
farmi venire in mente dei nostalgici pezzi di vita di te e me insieme.
Voglio arrivare in punto di morte e ricordarmi di una ragazza che mi faceva
impazzire per come pronunciava il mio nome.

"E allora, dopo che ci si lascia ci si perde, perchè in comune non si ha
neanche quel periodo in cui si è stati insieme."


Hai ragione, ci si perde. Non ti permetterò di demolire anche i miei
ricordi. Senza rancore, ovviamente...

Addio Chiara.


Chiara mi ha mandato un'altra mail, ma ora lei per me esiste solo nei ricordi.

sabato 26 novembre 2005

QUALCOSA STA ACCADENDO

Qualcosa sta accadendo in me. Si chiama Mari e mi ha completamente destabilizzato. Ero convinto di poter controllare le mie emozioni quando e come volevo, invece sono stato smentito, manco a dirlo, da una donna. Lei è bella, troppo bella, ma più che la sua fisica meravigliosità sono la sua intelligenza sopraffine e il suo carattere (che farebbe sciogliere un ghiacciolo dentro a un freezer) che colpiscono al primo impatto con lei.


L'ho conosciuta venerdì scorso a una festa universitaria a cui non volevo andare. Inizialmente sembrava una qualsiasi ragazza che si può conoscere a una festa: nessun segno particolare degno di nota. Era carina, certo, ma sembrava carina come sembravano carine tante ragazze presenti quella sera. Mi accorsi però che più tempo passavo a parlaer con lei, più trovavo in lei qualcosa di nuovo che mi piaceva. Il suo sorriso è stata la prima cosa che mi ha colpito: era qualcosa che mi illuminava di gioia. Poi il modo di fare, la sua voce, le sue parole... E' stato il numero di telefono più sudato che io abbia mai ottenuto, me l'ha fatto indovinare cifra per cifra. "Dai, il suo numero ce l'ho, magari tra qualche giorno la chiamo, ma non mi aspetto nulla da lei..." pensavo tra me e me mentre tornavo a casa. In fondo era una ragazza come ne avevo conosciute tante, ma non avrei mai detto che avesse qualcosa in più delle altre.


Domenica le telefono per invitarla a uscire, ma lei è ammalata. Veramente non che io stessi meglio con quel mal di gola che mi ritrovavo. Durante quella breve conversazione riesco addirittura a farla ridere, mi piace quando lei ride, mi piace quando se la prende quando le dico qualcosa, mi piace come si comporta con me. Avete presente le cosiddette "fashion-girl" superfighe fuori e vuote dentro, con l'intelligenza pari a un uomo australopithecus (e sono fin troppo buono, il mio antenato mi voglia scusare del paragone), vestite firmate da capo a piedi? Avete presente? Bene, Mari è l'opposto. Ci sentiamo ancora un paio di volte prima di concordare un appuntamento che è stato proprio ieri.


"Allora dove ti passo a prendere?"


"Boh dimmi tu"


"Ma come dimmi tu? Io non so neanche dove abiti"


"Abito in centro"


"Sì vabbè grazie, il centro è piccolissimo guarda"


(Lei ride) "Hai ragione, sai dov'è la vecchia scarpa?"


"Lì non posso entrare con la macchina.. facciamo in Piazza Roma alle 9 e mezza?"


"Va bene"


"Però Piazza Roma è grande.. diamoci un punto preciso.. hai presente il negozio di parrucche?"


(Lei ride ancora, poi mi dice...) "Sì, ho presente, ma dai.. un appuntamento davanti A UN NEGOZIO DI PARRUCCHE! Comunque quel negozio è davvero bello"


"E' vero.. Lo so che è un pò squallido incontrarsi davanti a un negozio di parrucche, ma è l'unico punto di riferimento che mi ricordo!" (che scemo che sono)


"Va bene, facciamo lì alle 9:30"


"Allora a dopo..."


Non ero teso, non ero nervoso. In fondo si trattava solo di portare a bere qualcosa una ragazza, cercando di non fare troppo tardi perchè l'indomani avrei avuto l'esame per la patente di Croce Rossa, per il quale tra l'altro non avevo studiato neanche un minuto. Sono arrivato stranamente in anticipo, quasi mai successo nella mia vita, e dall'interno della mia macchina osservavo la gente camminare frettolosamente, tutta incappucciata e imbottita per scampare al grande freddo di ieri sera; ho osservato, ovviamente, anche il fantastico negozio di parrucche, con le stravaganti chiome dai colori più improbabili. Poi all'improvviso appare lei, sale in macchina e andiamo via, direzione birreria.


Mi sono accorto che avevo sottovalutato la sua bellezza solo quando l'ho osservata più da vicino. Strano a dirsi, perchè di solito succede esattamente il contrario: da vicino molte donne appaiono non così belle come quando osservate da lontano. I suoi capelli sembravano fili di seta finissima, un viso così ben definito da non dover invidiare nulla a quello di tante dive dello spettacolo, un seno che si poteva immaginare essere perfetto grazie alla scollatura di classe del suo vestito di ieri sera. Il suo punto forte, però, erano gli occhi, che le permettevano di osare sguardi così... così... non mi vengono neanche le parole per descriverli e forse non esistono nemmeno termini per farlo. Due brufoletti sulla fronte la rendevano così umana che quasi contornavano meglio il già splendido viso. Rimasi sorpreso. Una settimana prima non mi ero accorto di quanto fosse bella e per me è stato quasi uno shock rendermi conto che davanti avevo una ragazza fantastica, una donna come avevo sempre desiderato nei miei sogni più arditi.


Eravamo arrivati alle 21.45, e abbiamo cominciato a chiacchierare di tutto quello che ci passava per la testa, senza aver paura del giudizio dell'altro. Così io le ho raccontato della mia disastrosa vita scolastica e che mi piace sentire l'odore della carne bruciata dal bisturi elettrico durante gli interventi, lei invece che era una perfezionista negli studi e che una volta si stava mettendo a piangere dal dispiacere quando il dentista le aveva tolto l'apparecchio per i denti perchè ci era affezionata.


A un certo punto della serata lei mi dice che forse è meglio andare perchè l'indomani avrei avuto l'esame di guida. Guardo l'orologio: era l'1:05. Sono rimasto di sasso: erano passate 3 ore e 20 e invece a me erano sembrate neanche 2 orette scarse. Usciamo dal locale e veniamo colti da sorpresa quando vediamo la neve sul manto stradale. Mi prende a braccetto per non scivolare, poi mi dice che la faccio troppo ridere e questo mi riempie d'orgoglio. La riaccompagno a casa ma non me la sento di baciarla, preferisco farlo al secondo appuntamento.


Sogno ad occhi aperti.


domenica 20 novembre 2005

3 - INGLESE I

Se dovessi fare una classifica degli esami più inutili e scassamaroni di tutto il corso di laurea, l'esame di inglese salirebbe sul podio. Ovviamente l'inglese è importante bla bla bla bla bla, è fondamentale conoscerlo bla bla bla bla bla... L'inglese che io so l'ho imparato alle superiori grazie alla prof. Neri e non lo devo a nessun altro. Questo esame è il primo di 4 prove sostanzialmente uguali tra di loro, distribuite una per ogni semestre dei primi due anni di studio. Non avevo mai frequentato se non il minimo indispensabile per ottenere le firme di frequenza, e infatti al primo tentativo venni segato ma mi rifeci al secondo, ovviamente senza studiare nemmeno 1 minuto. Questo è un post schifoso perchè privo di emozioni, e così è stato aver dato quest'esame. Mi scuso pubblicamente con i lettori, ma saranno così anche inglese 2 e 3. Inglese 4 invece ha regalato delle perle fantastiche.

2 - INTRODUZIONE AGLI STUDI MEDICI, AL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE E ALLE DIMENSIONI SOCIALI DELLA MEDICINA

L'esame con il nome più lungo, ma anche l'esame più inutile del primo anno. Un mucchio di cazzate sulla medicina sfornate da uno statistico, da un fisico e da una psicologa; voi ora vi chiederete cosa c'entrano queste persone l'una con l'altra ma soprattutto cosa c'entrano con questa materia: la risposta non esiste. Per far perdere tempo allo studente del primo anno, i piani alti dell'università di medicina hanno deciso di introdurre questo esame che, per fortuna, non è stato per nulla difficile. Era diviso in due parti da tenere in 2 diversi giorni, la prima consisteva su un esposizione a gruppi di studenti di un saggio riguardante gli studi medici che il prof ci aveva dato da leggere e la seconda su una tesina con argomento l'applicazione alla medicina delle conoscenze di fisica. Essendo un'idoneità e non un esame con voto, che tu andassi bene o che tu andassi male era assolutamente indifferente in quanto non avrebbe fatto media. Ricordo che quando dovetti esporre la mia parte (ero l'ultimo della mattinata), il prof. era così addormentato che mi stava interrogando a occhi chiusi.


Il giorno prima dell'esame tutta la mia famiglia andò al consueto pranzo domenicale a casa dei miei nonni Dino e Gisella; mi ricordo che quella volta fu particolarmente gioiosa perchè mia madre rese noto ai suoi genitori che era incinta del 4°figlio. Quella notizia accese l'atmosfera a tavola, c'era un'aria gioiosa che girava per la sala da pranzo. Alla fine del pasto, dopo un gustoso caffè, ci salutammo e tornammo a casa.


Verso l'una di notte, neanche 12 ore dopo, squillò il telefono. Mio padre si precipitò a rispondere ma ormai quel trillo aveva svegliato tutta la casa. Mio nonno si era sentito male e mio zio lo era andato a prendere a casa e portato subito in pronto soccorso; era proprio lui al telefono, invitando mio padre a raggiungerlo al più presto in ospedale. Mio padre si vestì e andò subito a vedere cos'era successo, lasciando promesso a mia madre che l'avrebbe chiamata appena avesse saputo qualcosa. 10 minuti dopo il telefono squillò nuovamente, era mio padre che riferì a mia madre la gravità delle condizioni di salute del nonno, poi la invitò a passarmi il telefono. 10 secondi dopo, mentre mia madre aveva già cominciato a vestirsi, mio padre con voce grave mi informò che il nonno Dino non c'era più.

venerdì 18 novembre 2005

STORIA A DISTANZA

Ti avevo desiderata per tutta la settimana. Ti avevo pensata, sentita nelle vene, ascoltata da lontano, osservata nella mia immaginazione, sognata durante il buio e la luce. Troppe parole erano state spese senza neanche poterti sfiorare, anche se a volte, durante quelle maledette telefonate, potevo sentire l'umido del tuo fiatare sulla pelle come se tu fossi stata accanto a me.


Ore 23:50. Ero lì, nella deserta stazione di Bologna, ad aspettare te. Era da poco che stavamo insieme ma la passione era già grande. Di quella sera mi ricordo nitidamente - che strana cosa - solo il tuo arrivo. Della successiva passeggiata per il centro di Bologna ho solo uno sbiadito ricordo di me e te mano nella mano. Quei 6 minuti che mi separavano dal vederti sono stati il preludio della felicità, paragonabili alla manciata di secondi che precedono il piacere orgasmico. In quei 6 minuti ardevo di fuoco, i miei occhi parlavano solo di te e il mio pensiero viaggiava verso il treno che ti portava lì da me, per poterti dire che ero lì che ti aspettavo. In quei momenti c'eravamo solo io e i binari, non si vedeva anima viva se non qualche magrebino in lontananza che aspettava qualcuno o qualcosa. E quella voce metallica registrata, ma quella sera suadente, "BOLOGNA, STAZIONE DI BOLOGNA. E' IN ARRIVO AL BINARIO 7 IL TRENO INTERREGIONALE 2.534 DELLE ORE 23:56 PROVENIENTE DA ANCONA", sembrava che annunciasse un evento fantastico, meraviglioso: io e te insieme per quella notte. Mi ricordo che quando vidi da lontano il treno che sferragliava verso di me il mio cuore era in fibrillazione, e ricordo anche che quando si fermò come un pazzo ti cercai con lo sguardo e poi... ti vidi. Neanche il miglior regista di film d'amore potrebbe immaginare una scena simile. Ci corremmo incontro, tu lanciasti la valigia per aria e ci abbracciammo sciogliendoci in un bacio appassionato. Poi cominciai a girare su me stesso mentre ti tenevo abbracciata e ti facevo volare, come possono fare 2 adolescenti ai primi amori. E poi via lungo i binari della stazione, saltellando come 2 bambini, trotterellando e facendone di ogni pur di manifestarci affetto l'un l'altro. Ogni 10 secondi un bacio, una carezza, poi una corsa lungo il binario 1, e poi ti raggiungevo e ti baciavo, ti prendevo in braccio e ti portavo via, poi ti facevo scendere e tu riscappavi e urlavi di felicità e io ti venivo dietro e urlavo anch'io e ti dicevo quant'eri bella e tu mi fissavi negli occhi e mi baciavi.


In quei 5 minuti la stazione di Bologna era diventata nostra.

martedì 15 novembre 2005

PILLOLA DI VITA N. 3

Un allievo di chirurgia d'urgenza, LL, mi chiese di coprirgli i turni per 2 giorni consecutivi; non che la cosa mi rompesse, solo che la ritenevo un pò strana. LL era un ragazzo del sesto anno e se dovessi indicare la persona più gentile ed educata che io conosca, lo metterei ai vertici della classifica. Il 2°giorno lo vidi in ambulatorio, accompagnava suo padre che da 30 giorni aveva frequenti episodi di vomito associato a dolore epigastrico; i medici di reparto decisero di ricoverarlo in attesa della TAC. Non avevo ancora letto la sua cartella clinica e ancora non sapevo quale fosse la diagnosi. Andai in sala per un intervento di colostomia poi tornai in reparto per leggere la cartella del papà del mio amico. 57 anni, con un pregresso infarto miocardico nel 1998, aveva eseguito ricerca del sangue occulto nelle feci e una gastroscopia di controllo per il perpetuarsi dei sintomi che accusava da circa un mese. Il sangue occulto era positivo, inoltre la gastroscopia aveva evidenziato una voluminosa neoformazione substenosante localizzata nel'antro gastrico. Allora mi fermai un attimo a riflettere, a contare quanti pazienti mi erano scorsi sotto agli occhi in quei mesi, quanti avevano un tumore e quanti non avevo più rivisto, ignorando completamente la loro sorte. Rimembrai tutti quei volti sofferenti, spettri di se stessi dei tempi che furono, comparse, nella mia vita, di cui faccio fatica a ricordare il nome e di cui invece, maledicendomi, ricordo solo il numero di letto ospedaliero. Mi tornarono alla mente tutte le volte che leggevo: "Cancro" nelle cartelle dei pazienti e, con un disumano distacco, andavo avanti a leggere come se quelli non fossero uomini. Pensai a mio padre, che poteva essere benissimo il prossimo, poi chiusi la cartella e andai a casa. Appena entrato, corsi dal mio vecchio e lo abbracciai con foga.


Il giorno dopo il padre del mio amico fu operato. Gli trovarono un grosso cancro dello stomaco con un quadro disastroso di carcinosi peritoneale e metastasi disseminate a tutto l'addome. Mi hanno raccontato che il mio amico era presente in sala operatoria mentre il prof. R., suo relatore per la tesi di laurea, gli elencava tutte le sedi di metastasi.

giovedì 3 novembre 2005

1 - ISTOLOGIA ED EMBRIOLOGIA (3° e ultima parte)

Dopo la seconda segatura ero a pezzi. Già avevo mille paranoie nella mia vita, non potevo aggiungerci anche quelle dell'università. Vedevo i miei colleghi che andavano avanti, che avevano già finito gli esami del semestre, invece io, come un purpettone, dovevo ancora passare il mio primo esame. Ero ancora immaturo, ero un ragazzetto che si dilettava a perdere il suo tempo davanti alla playstation al posto che studiare come si doveva. Mi ricordo che in quel periodo avevo perso la testa per Dave Mirra Freestyle BMX, un videogioco di evoluzioni in bicicletta, ci perdevo almeno 2-3 ore al giorno, ma il desiderio di giocare era così forte che anche quando studiavo il mio pensiero andava verso quella cazzo di BMX che doveva fare dei numeri da circo per poter essere il campione. Ma il campione di che? Il campione dei coglioni, ecco cos'ero. Alla seconda bocciatura mi imposi di non giocarci più, ed effettivamente ci riuscii. Tre anni più tardi, la sera prima dell'esame di epidemiologia, giocai per 4 ore consecutive a pro evolution soccer; dopo tutto quel tempo, rendendomi conto del tempo perso, rimasi allibito da cotanta stupidità e da quel giorno diminuii di molto le ore passate davanti a un videogame. Spostai infatti tutto il mio tempo libero davanti a un computer.


Dopo la seconda bocciatura non sapevo proprio come fare. In quel periodo conobbi una mia compagna d'università, Natascia. Lo so, chi legge in questo momento potrebbe pensare che, con un nome del genere, non poteva che essere una gran troiona (nel senso buono del termine). Invece la Nat era tutt'altro e, seppur fosse addirittura una modella e lavorasse nell'ambito delle discoteche come ragazza immagine, non se la tirava neanche un pò. Anche lei, come me, doveva ancora dare quel benedetto esame: era stata bocciata l'appello prima sulla spermatogenesi. Non so come successe, forse per un bisogno reciproco, ma un giorno cominciammo a studiare insieme e andammo avanti fino alla fine. Il 26 febbraio 2002 c'era il famigerato ultimo appello di sessione; non passarlo avrebbe significato rimanere indietro, troppo indietro, un margine incolmabile: avrebbe significato probabilmente la fine di medicina, sia per lei che per me. Non si poteva sbagliare, la tensione era palpabile e in più, si sa, i primi esami all'università sono caratterizzati dal terrore e da una frequenza cardiaca che sfiora il numero di sigarette della stecca che ti sei fumato durante la preparazione dell'esame. Quel giorno fummo interrogati solo in embriologia perchè eravamo in fondo alla lista d'iscrizione e la prof. d'istologia non fece in tempo a sentire proprio gli ultimi 4. Prendemmo entrambi un parziale di 19. Di quella sera ho il nitido ricordo di una ragazza bionda, bassina, che avevo conosciuto durante le prime settimane di lezione nelle poche occasioni in cui ero presente: il suo nome era Silvia. Aveva studiato così poco che nessuno di noi pensava che avesse una pur minima possibilità di passare l'esame; embriologia non l'aveva mai aperta, se l'era fatta spiegare da un mio amico la mattina stessa, eppure, incredibilmente, la passò con un misero 18 che non andava lontano dal nostro ben più sudato 19. Mentre io e la Nat stavamo fumando una paglia ormai consapevoli di essere interrogati la mattina seguente, Silvia si avvicinò a noi con il viso completamente deformato dal terrore e dallo stress, con una sigaretta tra le dita che riusciva a fumare a malapena. "Cioè, ragazzi, ho avuto un culo... ma istologia non la passo neanche se la lecco alla prof." Poverina, non sapevamo come incoraggiarla. Poi continuò: "L'unica possibilità che ho di passare l'esame è che mi chieda la cute. E' l'unica domanda a cui non farei scena muta perchè almeno l'ho letta". Aveva una probabilità bassissima che potesse chiederle proprio quello, tutti e tre in quel cerchio di fumatori ne eravamo perfettamente consapevoli. Quando Silvia venne chiamata dalla prof, io la vedevo da fuori dell'aula perchè non riuscivo a starci dentro per la tensione accumulata durante il giorno. Ero convinto che sarebbe stata segata nel giro di 1 minuto, giusto il tempo di guardare dentro all'obbiettivo del microscopio, osservare un vetrino assolutamente  sconosciuto e tentare la sorte sparando una risposta a caso, con una probabilità troppo bassa di azzeccarci.


Dovete sapere che l'unico tessuto che si riconosce da lontano un chilometro è la cute: proprio quello che capitò a Silvia quella sera di febbraio. La vedevo contenta per aver riconosciuto il vetrino, poi farsi piccola alle sempre più precise domande della prof. Sentivo indistintamente lo stridio delle unghie di chi si sta arrampicando sugli specchi nella remota speranza di farcela. Quel rumore continuò per 30 minuti ma alla fine Silvia ce la fece: 18. Non ci credevamo noi, non ci credeva neanche lei. Non potevo immaginare che quella ragazza in futuro avrebbe avuto un ruolo chiave nella mia vita.


Il giorno dopo, appena mi sedetti su quella rovente sedia, ero quasi in trance. Ero in una condizione psico-fisica disastrosa. In quei momenti, in cui la prof decide il vetrino e te lo mette a fuoco nel microscopio, passa di tutto nel tuo cervello devastato da giorni di studio intenso. Pensi al momento maledetto in cui hai scelto di fare medicina, ti tiri degli accidenti perchè potevi fare molto di più nei mesi addietro e invece hai preferito dilettarti nell'arte del cazzeggio, immagini tra 30 minuti che umore avrai, cerchi di indovinare se la prima riga nel tuo libretto continuerà a essere vuota o ci sarà un qualsiasi numero da 18 a 30 che sia. Poi, quando guardi nel microscopio e non hai la più pallida idea di che cazzo di tessuto possa essere, ti senti una merda e cerchi di fare il calcolo delle probabilità di passare l'esame sparando una risposta a caso. NO. 30 secondi dopo aver posto l'occhio sull'obbiettivo, raccogli tutte le tue energie residue e ti dici: "No, non verrò segato anche questa volta". Alzi lo sguardo, fissi la prof nelle palle degli occhi e gli spari: "E' tessuto muscolare". Poi ti arrampichi sugli specchi scalati da una tua collega la sera prima, facendo quegli stridii che non ti sembrano più così fastidiosi. Dopo 30 minuti ti senti dire: "18, non di più", ti alzi dalla sedia a cui ti eri incollato nella mezz'ora precedente, fissi la prof mentre dentro provi amore e odio per lei, trattieni la commozione dopo 2 mesi passati a studiare, firmi il registro, provi un sentimento orgasmico quando vedi la penna che scrive su quella prima riga, poi vai fuori e ti senti completamente vuoto, leggero. Avevo superato il mio primo esame.


Anche la Nat ce la fece (19), e quando uscì fuori urlammo insieme nel giardino adiacente agli isituti anatomici. Quel giorno avevamo cominciato la nostra carriera insieme, ma quella della mia amica si interruppe qualche anno dopo, quando lasciò medicina perchè non ce la faceva a reggerne i ritmi.


Avevo inaugurato il mio libretto con un 18. "Che vergogna", pensai. Ancora non sapevo che sono come un vecchio motore diesel: per partire ci mette un'eternità, ma una volta che si mette in moto non si ferma più.

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