giovedì 3 novembre 2005

1 - ISTOLOGIA ED EMBRIOLOGIA (3° e ultima parte)

Dopo la seconda segatura ero a pezzi. Già avevo mille paranoie nella mia vita, non potevo aggiungerci anche quelle dell'università. Vedevo i miei colleghi che andavano avanti, che avevano già finito gli esami del semestre, invece io, come un purpettone, dovevo ancora passare il mio primo esame. Ero ancora immaturo, ero un ragazzetto che si dilettava a perdere il suo tempo davanti alla playstation al posto che studiare come si doveva. Mi ricordo che in quel periodo avevo perso la testa per Dave Mirra Freestyle BMX, un videogioco di evoluzioni in bicicletta, ci perdevo almeno 2-3 ore al giorno, ma il desiderio di giocare era così forte che anche quando studiavo il mio pensiero andava verso quella cazzo di BMX che doveva fare dei numeri da circo per poter essere il campione. Ma il campione di che? Il campione dei coglioni, ecco cos'ero. Alla seconda bocciatura mi imposi di non giocarci più, ed effettivamente ci riuscii. Tre anni più tardi, la sera prima dell'esame di epidemiologia, giocai per 4 ore consecutive a pro evolution soccer; dopo tutto quel tempo, rendendomi conto del tempo perso, rimasi allibito da cotanta stupidità e da quel giorno diminuii di molto le ore passate davanti a un videogame. Spostai infatti tutto il mio tempo libero davanti a un computer.


Dopo la seconda bocciatura non sapevo proprio come fare. In quel periodo conobbi una mia compagna d'università, Natascia. Lo so, chi legge in questo momento potrebbe pensare che, con un nome del genere, non poteva che essere una gran troiona (nel senso buono del termine). Invece la Nat era tutt'altro e, seppur fosse addirittura una modella e lavorasse nell'ambito delle discoteche come ragazza immagine, non se la tirava neanche un pò. Anche lei, come me, doveva ancora dare quel benedetto esame: era stata bocciata l'appello prima sulla spermatogenesi. Non so come successe, forse per un bisogno reciproco, ma un giorno cominciammo a studiare insieme e andammo avanti fino alla fine. Il 26 febbraio 2002 c'era il famigerato ultimo appello di sessione; non passarlo avrebbe significato rimanere indietro, troppo indietro, un margine incolmabile: avrebbe significato probabilmente la fine di medicina, sia per lei che per me. Non si poteva sbagliare, la tensione era palpabile e in più, si sa, i primi esami all'università sono caratterizzati dal terrore e da una frequenza cardiaca che sfiora il numero di sigarette della stecca che ti sei fumato durante la preparazione dell'esame. Quel giorno fummo interrogati solo in embriologia perchè eravamo in fondo alla lista d'iscrizione e la prof. d'istologia non fece in tempo a sentire proprio gli ultimi 4. Prendemmo entrambi un parziale di 19. Di quella sera ho il nitido ricordo di una ragazza bionda, bassina, che avevo conosciuto durante le prime settimane di lezione nelle poche occasioni in cui ero presente: il suo nome era Silvia. Aveva studiato così poco che nessuno di noi pensava che avesse una pur minima possibilità di passare l'esame; embriologia non l'aveva mai aperta, se l'era fatta spiegare da un mio amico la mattina stessa, eppure, incredibilmente, la passò con un misero 18 che non andava lontano dal nostro ben più sudato 19. Mentre io e la Nat stavamo fumando una paglia ormai consapevoli di essere interrogati la mattina seguente, Silvia si avvicinò a noi con il viso completamente deformato dal terrore e dallo stress, con una sigaretta tra le dita che riusciva a fumare a malapena. "Cioè, ragazzi, ho avuto un culo... ma istologia non la passo neanche se la lecco alla prof." Poverina, non sapevamo come incoraggiarla. Poi continuò: "L'unica possibilità che ho di passare l'esame è che mi chieda la cute. E' l'unica domanda a cui non farei scena muta perchè almeno l'ho letta". Aveva una probabilità bassissima che potesse chiederle proprio quello, tutti e tre in quel cerchio di fumatori ne eravamo perfettamente consapevoli. Quando Silvia venne chiamata dalla prof, io la vedevo da fuori dell'aula perchè non riuscivo a starci dentro per la tensione accumulata durante il giorno. Ero convinto che sarebbe stata segata nel giro di 1 minuto, giusto il tempo di guardare dentro all'obbiettivo del microscopio, osservare un vetrino assolutamente  sconosciuto e tentare la sorte sparando una risposta a caso, con una probabilità troppo bassa di azzeccarci.


Dovete sapere che l'unico tessuto che si riconosce da lontano un chilometro è la cute: proprio quello che capitò a Silvia quella sera di febbraio. La vedevo contenta per aver riconosciuto il vetrino, poi farsi piccola alle sempre più precise domande della prof. Sentivo indistintamente lo stridio delle unghie di chi si sta arrampicando sugli specchi nella remota speranza di farcela. Quel rumore continuò per 30 minuti ma alla fine Silvia ce la fece: 18. Non ci credevamo noi, non ci credeva neanche lei. Non potevo immaginare che quella ragazza in futuro avrebbe avuto un ruolo chiave nella mia vita.


Il giorno dopo, appena mi sedetti su quella rovente sedia, ero quasi in trance. Ero in una condizione psico-fisica disastrosa. In quei momenti, in cui la prof decide il vetrino e te lo mette a fuoco nel microscopio, passa di tutto nel tuo cervello devastato da giorni di studio intenso. Pensi al momento maledetto in cui hai scelto di fare medicina, ti tiri degli accidenti perchè potevi fare molto di più nei mesi addietro e invece hai preferito dilettarti nell'arte del cazzeggio, immagini tra 30 minuti che umore avrai, cerchi di indovinare se la prima riga nel tuo libretto continuerà a essere vuota o ci sarà un qualsiasi numero da 18 a 30 che sia. Poi, quando guardi nel microscopio e non hai la più pallida idea di che cazzo di tessuto possa essere, ti senti una merda e cerchi di fare il calcolo delle probabilità di passare l'esame sparando una risposta a caso. NO. 30 secondi dopo aver posto l'occhio sull'obbiettivo, raccogli tutte le tue energie residue e ti dici: "No, non verrò segato anche questa volta". Alzi lo sguardo, fissi la prof nelle palle degli occhi e gli spari: "E' tessuto muscolare". Poi ti arrampichi sugli specchi scalati da una tua collega la sera prima, facendo quegli stridii che non ti sembrano più così fastidiosi. Dopo 30 minuti ti senti dire: "18, non di più", ti alzi dalla sedia a cui ti eri incollato nella mezz'ora precedente, fissi la prof mentre dentro provi amore e odio per lei, trattieni la commozione dopo 2 mesi passati a studiare, firmi il registro, provi un sentimento orgasmico quando vedi la penna che scrive su quella prima riga, poi vai fuori e ti senti completamente vuoto, leggero. Avevo superato il mio primo esame.


Anche la Nat ce la fece (19), e quando uscì fuori urlammo insieme nel giardino adiacente agli isituti anatomici. Quel giorno avevamo cominciato la nostra carriera insieme, ma quella della mia amica si interruppe qualche anno dopo, quando lasciò medicina perchè non ce la faceva a reggerne i ritmi.


Avevo inaugurato il mio libretto con un 18. "Che vergogna", pensai. Ancora non sapevo che sono come un vecchio motore diesel: per partire ci mette un'eternità, ma una volta che si mette in moto non si ferma più.

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